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STORIA

 

"Ogni momento era giusto per cantare. Qualcuno intonava, molti seguivano, altri ascoltavano. E non importava se si era in corriera, o in montagna, a qualche cena o nei rifugi alpini, il canto rappresentava uno sfogo alla vivacità giovanile, esternando la gioia ed il piacere di stare con i propri amici e compagni. I preferiti erano sempre i canti popolari della tradizione vicentina. E’ a metà degli anni Cinquanta che nasce l’idea di dar vita a un coro vero e proprio. E non mancano neanche i volontari: si tratta dei soci del CAI. Si trova ben presto anche un maestro, Walfrido Calgaro, impiegato alla Ceccato, pianista e concertista per hobby. Walfrido è un entusiasta per natura e si rivelerà in seguito il principale animatore del gruppo.

Niente sede fissa, per quelle prime prove tanto tempo fa, ogni luogo andava bene, le scuole, il bar o anche la corte. E si cantava senza nessuno strumento musicale...."

 

Così nasce il CORO  LA SISILLA che nel 2009 ha celebrato il 50mo, un coro ora misto di circa venticinque coristi diretti dal 2017 dal maestro Nicola Piccino.

La sua storia è affascinante , ricca di umanità ed amicizia ben raccontata nel fascicolo dell’ anniversario 1959-2009 curato da Nevio Zanni ed è difficile fare una sintesi di sentimenti così ancora giovani, perciò vi invito a continuare la lettura perché tutto ha un suo corso e un suo tempo, specialmente i ricordi. Con affetto Letizia……

 

"... ed è la coralità a meravigliare tutti, per la sua compattezza e musicalità. E quando, dopo vari tentativi per amalgamare le varie voci singole, emerge la compattezza delle voci, l’orgoglio e l’emozione per il traguardo raggiunto travolge tutti indistintamente.

Si organizza, mesi dopo, la prima “uscita pubblica”. Il luogo designato è il Cinema-Teatro S. Antonio. Dirà in seguito il maestro Calgaro che voleva “così per scherzo e senza alcuna presunzione” far cantare anche il Coro.

Dopo i brani eseguiti dal soprano Anna Maria Longo e da un contrabbassista di Vicenza, accompagnati al pianoforte dallo stesso Walfrido, ecco schierato sul palcoscenico il Coro del CAI. Come simbolo che rappresenta l’associazione, da un lato vengono sistemate una tendina da campeggio con corda e piccozza.

La novità castellana viene accolta in maniera calorosa dagli spettatori. Venti gli storici coristi che cantano La Montanara, La Domenica andando alla Messa, La Dosolina, L’aria de la montagna, L’è tre ore che son chi so’to: Antonio Curti, Leonardo Zadra, Remigio Gatto, Luigi Parise, Mario Ramanzin, Luigi Gaianigo, Lisetto Agosti, Francesco e Antonio Bovo, Silvano Bastianello, Antonio Gatto, Mario Marin, Michele Menegon, Zaccaria Moccolo, Luigi Pellizzari, Mario Zadra, Giuseppe Zannato, Alessandro Gatto, Eugenio Menegon e Antonio Urbani.

L’attività del Coro continua. Qualche volta il maestro non si presenta alle prove, forse per motivi di cuore.

Il repertorio diventa più vasto rimanendo nella tradizione popolare. Affiatamento ed entusiasmo non vengono mai meno. Non si possono dimenticare le allegre e corali serate (il trascinatore è sempre Calgaro) trascorse al campeggio di Misurina, a Campogrosso, a Recoaro; il concerto tenuto all’Astra di Alte Ceccato e le altre innumerevoli cantate in luoghi e circostanze diversi. Durante questi anni si acquisisce esperienza e sicurezza. Negli anni Sessanta si fa strada il desiderio di confronto con gli altri cori della vallata, tra i quali spiccano per notorietà e livello artistico “I Crodaioli” di Arzignano e “Gli amici dell’Obante” di Valdagno.

Ricorda il maestro Calgaro: “A questo punto le cose si erano fatte serie ed io non ero fatto per le cose serie.

Al Coro ci tenevo tanto, perché mi divertivo, ma per partecipare dignitosamente a una rassegna serviva una preparazione puntuale e specifica, esigere dai coristi e da me stesso grande impegno, ed io non me la sentivo di impegnarmi troppo… e poi dovevo sposarmi…”.

Calgaro prende la decisione di lasciare e così si chiude il primo periodo di vita del Coro, forse il più bello e il più felice ricordato ancor oggi con malcelata nostalgia per le goliardate e le risate di allora.

Nel 1965, grazie ad Antonio Curti e Luigi Parise, il Coro si riforma sotto la direzione del compianto maestro Ornello Albanese. Il Coro accoglie nuovi elementi e si riparte praticamente da zero. Il maestro è preparato, molto severo ed esigente, e orgoglioso. Dopo appena otto mesi di prove (troppo presto), egli vuole portare il Coro fuori dall’ambito comunale a cimentarsi con gli altri cori della Provincia. Memorabile è rimasto il debutto alla rassegna di Trissino dove si esibivano “I Crodaioli” e gli “Amici dell’Obante”, complessi di ben altra levatura.

Dopo aver ascoltato le sonorità ed i virtuosismi dei due cori, i “nostri”, con la nuova divisa (camicia verde a quadri e distintivo del C.A.I.), vengono travolti dall’emozione e paura del pubblico. Ma lo spettacolo deve proseguire, paura o non paura, e vengono eseguite le arie preparate per la serata: Monte Canino, A Mezzanotte in punto, Me compare Giacometo, Inno al Trentino. Gli spettatori incoraggiano i coristi con numerosi applausi e, a fine esibizione, forse non la migliore fino ad allora, il maestro Albanese è sudatissimo e De Marzi si complimenta per la performance. La convivenza con Albanese dura pochi anni. Uomo ammirevole per la tecnica, puntualità, e per le sue ottime capacità musicali, ma sono inevitabili le divergenze caratteriali. Dopo la sua rinuncia segue la breve esperienza (circa tre anni) vissuta con il direttore Irvano Tronca, caratterizzata da un buon rapporto interpersonale. Irvano era un tipo sereno, aperto, simpatico; amava la compagnia, beveva volentieri un bicchiere insieme. Dopo le prove, che si tenevano nell’aula magna delle scuole elementari, il solito gruppetto si fermava con lui ai “Tre garofani” a bagnarsi la gola e a fare una cantatina che, inevitabilmente, si protraeva spesso oltre la mezzanotte. Ma nemmeno con Irvano Tronca va tutto benissimo. Dopo un po’ anche Tronca decide di rassegnare le dimissioni e lascia il gruppo. Che fare ora? E’ il quesito principale che “le voci” si chiedono. Dopo qualche mese di quasi inattività, Luigi Parise va da Bepi De Marzi a chiedere consiglio e aiuto. De Marzi, dal canto suo, orienta l’attenzione su un giovane di Arzignano: Doriano Fracasso. Fracasso all’epoca frequentava il Conservatorio di Venezia, e si mostra desideroso di fare esperienza di direzione corale. Doriano promette bene, dimostra competenza, sensibilità e buon gusto. Trova un Coro numeroso (oltre 35 elementi) e ben avviato.

Con lui ha inizio un lungo periodo di stabilità, durato ben 18 anni (dal 1972 al 1990), durante il quale il Coro del CAI progredisce ulteriormente, si arricchisce e si perfeziona, cambia stile interpretativo, acquista una propria personalità che lo distingue dagli altri Cori. E se, fino ad allora il repertorio interpretativo ricalcava le orme del celebre Coro S.A.T. di Trento e cioè tradizionali melodie popolari e di montagna e vecchie cante degli alpini, con Doriano Fracasso gli orizzonti si allargano. Vengono imparate le celebri composizioni di Bepi De Marzi, si riscoprono musiche popolari di altre regioni italiane e di altre nazioni dalla Russia al Sud America; la ricerca si allarga anche ai canti natalizi, brani polifonici e liturgici, così da poter far fronte ai molteplici impegni che il Coro, nell’arco dell’anno, è chiamato a sostenere.

Giunto a questo punto della sua storia è il momento di fare un altro salto, questa volta organizzativo. Si stila lo Statuto interno, il quale ottiene l’approvazione della Sezione del CAI. Viene eletto il presidente affiancato da un direttivo. Ogni anno ci sarà l’assemblea ordinaria e ogni tre anni il rinnovo delle cariche. Con lo Statuto si arriva, però, anche ad un altro momento topico nella storia del Coro: il nome. D’ora in poi si chiamerà: Coro CAI “La Sisilla”. “Sisilla” come la rondine, il tenero uccellino tanto caro ai poeti, sempre fedele ad un tetto sotto un portico, fedele a un spazio domestico ritrovato dopo lunga migrazione. E come la rondine anche “La Sisilla” è instancabilmente alla ricerca in terre lontane di temi nuovi, di nuove fiabe sonore, restando però fortemente legata alle radici e tradizioni dei suoi luoghi. “Sisilla” è anche la parete di Campogrosso, frequentatissima e impegnativa palestra di roccia che attira quanti vogliono provare, dopo la pratica ascensione, l’ebbrezza della conquista. Anche il Coro è una sorta di palestra, o meglio una cordata: ogni aria, ogni pezzo è una conquista, l’arrivo in cima dopo aver imparato ed essere riusciti ad interpretare col cuore e con l’anima. In tutti questi anni l’attività del Coro si è molto intensificata. Innumerevoli le esibizioni in provincia, in altre regioni d’Italia e all’estero. Non si può tuttavia non ricordare le indimenticabili tournée nell’ex Jugoslavia, in Belgio e in Ungheria. Nell’ambito del Comune si può dire che il Coro è presente ovunque: celebrazioni civili e patriottiche, ricorrenze religiose, scuole, ospedali, case di riposo, apertura della stagione del CAI. Il Coro inoltre canta per gli Alpini e per i Donatori del sangue, nelle feste in contrà, organizza ogni anno un’importante “Rassegna di Cori”, alla quale partecipano i migliori Cori del Triveneto o provenienti da altre regioni italiane. Nel 1986 il Coro incide il suo primo disco. La registrazione contiene i migliori pezzi del suo repertorio e alcune significative composizioni dello stesso maestro Fracasso. Dopo la pubblicazione della registrazione, la vita del Coro dunque prosegue in forma autonoma dal CAI. Dopo il 1990 alla sua guida si avvicendano altri maestri: maestri giovani con idee nuove, sotto la cui direzione il Coro subisce sostanziali trasformazioni che lo arricchiscono sempre più.

Il Coro diventa polifonico proponendosi in campo sociale, liturgico e popolare.

"La Sisilla" orgoglio di Montecchio Maggiore è presente da ben cinquant'anni nella realtà culturale della nostra comunità ed è intenzionata a continuare sempre con nuovo vigore ed entusiasmo.

 

 

 

 

Il coro maschile davanti alla

Mole del Castello della Villa

(Montecchio M. - VI)

 

 

 


 

 

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